La perdita di una persona cara è sicuramente un’esperienza molto dolorosa, e in alcuni casi può diventare anche sconvolgente. Genera disorientamento, emozioni intese, contraddittorie e alle volte anche un vero e proprio congelamento nel sentire. Nonostante tutto, ciò rientra in un processo emotivo adattivo che produce reazioni fisiologiche. È da dire che il lutto elaborato in modo sano non è un processo che viene subito passivamente, ma esso è un processo che va attraversato in maniera consapevole nelle sue diverse fasi.
Il lutto al tempo del coronavirus non è diverso, non sono diverse le fasi che chi resta deve attraversare, ma diverso diventa il modo. La perdita della persona cara in molti casi avviene in modo rapido e inaspettato, ma ciò che spiazza di più in genere è il non poter esserci. E così il lutto diventa traumatico per chi lo subisce. Traumatica è la mancanza, ma soprattutto il pensiero che chi se ne va lo ha fatto in solitudine senza aver potuto dire addio.
La situazione che il coronavirus ci sta facendo vivere può portare a rendere il dolore della perdita come inibito, rimandato, in quanto prevalgono sentimenti contrastanti, somatizzazioni dovuti ad un importante senso di colpa. Senso di colpa detto “colpa del sopravvissuto”.
Dover dire addio ad una persona cara non è facile, lasciar andare spesso vuol dire vivere uno dei momenti più dolorosi della vita di ognuno di noi. Il saluto rappresenta il rituale che permette interiormente di suggellare il rapporto con chi, non vedremo più fisicamente, ma resterà in noi.
Il lutto vissuto nei giorni del coronavirus, molto spesso, priva proprio della possibilità del saluto, del valore di ciò che in qualche modo aiuta e permette di collocare in uno spazio diverso chi non c’è più, permettendo a chi rimane, poi, di approdare ad una realtà differente.
Non poter dire addio a causa della situazione che il COVID-19 sta causando, può far vivere il lutto come dolore rimandato o traumatico. In particolare si parla di dolore rimandato quando la persona non riuscendo a gestire il senso di vuoto provato, cerca di continuare a vivere nel quotidiano come se nulla fosse successo, nascondendo e rimandando la sofferenza provata. È chiaro che questa modalità può portare allo sviluppo di una condizione patologica perché non vi è accettazione della mancanza, ma solo una fuga dalla sofferenza.
Parliamo invece di dolore o lutto traumatico quando, nonostante tutto, chi rimane prova ad elaborare il lutto nelle sue fasi ma accade che rimanga bloccata o prolunga una di queste. Ciò porta, poi, a vere e proprie difficoltà emotive.
Secondo la psichiatra svizzera Elisabeth Kubler Ross sono cinque le fasi che chi rimane si ritrova ad attraversare. Proviamo ad approfondirle una alla volta.
Fase 1: Negazione
Capita spesso che in prima battuta si tenda a rifiutare l’accaduto. Frasi come “Non può essere accaduto”, “non ci credo”, “non è vero” diventano spesso una fisiologica e naturale risposta.
Fase 2: Rabbia
Dopo aver provato in tutti i modi a convincersi che non è successo nulla, che l’ingiustizia subita non è accaduta realmente, poi, in alcuni momenti arriva un sentimento che spiazza. La rabbia può essere direzionata su chi è andato via “Come hai potuto?” o verso se stessi per non aver potuto o dovuto, o ancora sul destino per essersi accanito.
Fase 3: Patteggiamento
È la fase in cui la persona cerca da una parte di fare i conti con una nuova consapevolezza, dall’altra con l’illogica speranza che il passato possa non essere tale “se tornasse qui staremmo quotidianamente assieme”. Nonostante le difficoltà tutto ciò rappresenta comunque un passo avanti nell’elaborazione del lutto, poiché si inizia a non negare più quanto accaduto.
Fase 4: Depressione
Nel sinuoso percorso di elaborazione del lutto, quando non si può più conservare la speranza, quando non si può più negare la perdita, quando anche la forza per la rabbia non è sufficiente si arriva a questa nuova fase. Fase di tristezza, solitudine e impotente vuoto. Ma ricorda che dopo il buio c’è sempre la luce.
Fase 5: Accettazione
Questa condizione secondo Elisabeth Kubler Ross si raggiunge quando a distanza di tempo e contro ogni previsione l’accaduto non è più come un peso insopportabile, ma soprattutto il futuro inizia a riprendere colore. La mancanza nonostante sia sempre lì, non è più dolorosa ma è nostalgica assenza. Assenza che permette di apprezzare e far rivivere i ricordi in un posto sicuro, intimo per te e per chi hai amato e ami.
La verità è che il lutto va vissuto. Per quanto tormentoso possa essere l’unico modo per superare il dolore è attraversarlo. Evitare la sofferenza rischia solo di illudere. Mancanza, vuoto, nostalgia, bisogno di un contatto e non solo, sono tutti aspetti che necessitano di essere accolti ed espressi. Quindi indispensabile è concedersi il turbinio di emozioni che la mancanza genera. La tristezza, la rabbia, il senso di irrealtà, l’incredulità, il senso di colpa e non solo non possono rimanere inascoltati. E se questo vale in generale per l’elaborazione del lutto, è ancora più vero se parliamo di lutto senza saluto come accade a causa del COVID-19. Dunque, un primo modo di concedersi le emozioni è quello di condividere i ricordi, i momenti vissuti assieme con chi, proprio come noi, sta affrontando la perdita. Fondamentale è inoltre, soprattutto nel lutto al tempo del coronavirus, costruire un rituale. Darsi la possibilità di celebrare un addio in modo solenne, anche nella propria casa, un rito è fondamentale nell’addio e quindi nell’elaborazione del lutto.
Altra preziosa strategia che viene utilizzata in molte situazioni è la scrittura. Prendere carta e penna e far defluire i pensieri, dar voce alla mancanza è permettersi di avere un contatto con chi vive in noi. Ricercare una sorta di dialogo interiore in cui esprimere tristezza, dolore, vuoto, ma anche rabbia, risentimento e molto altro. Solo così possiamo arrivare a ciò che Elisabeth Kubler Ross definisce in un’unica parola accettazione.
BIBLIOGRAFIA:
Elisabeth Kubler Ross (2001). Impara a vivere, impara a morire. Ed: Armenia.
Federica Cagnoni, Roberta Milanese (2009). Cambiare il passato. Superare le esperienze traumatiche con la terapia strategica. Ed: Ponte alle grazie.
Marie de Hennezel (1998). La morte amica. Lezioni di vita di chi sta per morire. Ed: Bur
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