L’autostima è sicuramente un concetto di non facile definizione e come vedremo tale concetto si differenzia da quello di autoefficacia. Letteralmente la parola autostima significa “esprimere valore, fiducia e stima nei propri confronti”. In tal senso possiamo affermare che essa è sospinta da ciò che ognuno di noi sperimenta in maniera totalitaria nei confronti di sé stesso.
Nello specifico l’autostima dell’individuo si basa sulla combinazione di:
Tre sono gli aspetti di base che ricorrono in modo costante nelle varie definizioni di autostima:
L’autostima si origina non solo da fattori squisitamente individuali, ma anche dai confronti che l’individuo fa quotidianamente, in modo consapevole o meno, con il contesto in cui vive. Nel 1890 William James fu il primo psicologo che diede una struttura a questo concetto, definendolo come il rapporto tra Sé percepito e il Sé ideale.
Il Sé percepito equivale al concetto che ognuno di noi ha di sé quindi “chi penso di essere”. Tale concetto di sé è diverso dal sé reale in quanto difficilmente questi coincidono. Il sé reale lo possiamo definire come la valutazione oggettiva di nostre abilità, caratteristiche e qualità. Quindi come mi percepisco può portare, in positivo o in negativo, verso degli errori di valutazione.
Il Sé ideale è invece l’immagine che vorremmo avere di noi, è il “chi vorrei essere”. Esso è influenzato da diversi fattori come la società in cui viviamo e la cultura di appartenenza.
Possedere un’alta autostima vuol dire avere una visione sana di sé. Significa saper apprezzare i propri pregi e saper vedere realisticamente carenze e difetti senza però essere ipercritici nel considerarli. Un individuo con un’autostima elevata si valuta positivamente, conosce i suoi punti di forza, qualunque essi siano. Da considerare che se una persona è in maggior parte soddisfatta di sé non significa automaticamente che essa non provi il desiderio di essere differente. Al contrario, una persona che ha fiducia in sé stessa spesso lavora molto per migliorarsi. Cerca di incrementare le proprie abilità ed è capace di perdonarsi qualora manchi l’obiettivo prefissato.
Avere un’alta autostima vuol dire avere una limitata differenziazione tra Sé reale e Sé ideale. Significa riconoscere i propri pregi e difetti. Possedere un’apertura positiva nei confronti dell’ambiente, una maggiore autonomia e un’adeguata fiducia nelle proprie abilità.
Una bassa autostima, d’altra parte, può portare a scarso entusiasmo, partecipazione carente. Possono nascere situazioni di demotivazione che sfociano in disimpegno e disinteresse. Ci sono persone con bassa autostima che mostrano un atteggiamento di fiducia artificioso, per dimostrare di essere all’altezza. Altre persone si ritirano in sé stesse, per paura di essere rifiutate dagli altri. In sintesi, una persona con bassa autostima pensa che ci sia poco di sé di cui essere orgogliosi: “la partita è persa ancora prima che inizi”. Uno dei pericoli è quello di assumere il ruolo della vittima, ma soprattutto di vivere al ribasso. I propri insuccessi rischiano di essere fonte di frustrazione personale e in aggiunta può nascere la tendenza di attribuirli a terzi. È un modo per sgravarsi dal peso della sconfitta che non si riesce a gestire o ad accettare. Così facendo la sconfitta fa diventare insofferenti, nervosi o ostili diventando un’occasione di crescita persa.
L’autoefficacia o come la definisce Albert Bandura autoefficacia percepita, corrisponde alla consapevolezza di sapere gestire determinate attività e situazioni. Oltre che aspetti psicologici e sociali di appartenenza.
In poche parole, autoefficacia influenza il modo in cui sentiamo e percepiamo noi stessi. Influenza dunque i nostri pensieri, emozioni, azioni e motivazione. È un costrutto il cui valore varia in base alla situazione specifica. Una persona può ritenersi molto competente nella pittura, ma potrebbe non percepirsi abile nella pallavolo. La teorizzazione sull’autoefficacia afferma che le credenze su sé stessi si basano sull’ interscambio tra quattro processi psicologici:
Le credenze di autoefficacia non sono statiche, ma si generano e sono costantemente modificate dalle nostre esperienze quotidiane.
Spesso i costrutti di autostima e autoefficacia vengono erroneamente usati in modo intercambiabile. In realtà sono concetti estremamente diversi. L’autostima riguarda giudizi di valore personale, mentre l’autoefficacia si riferisce a giudizi di capacità personale. Non esiste una correlazione definita fra convinzioni circa le proprie abilità e il fatto di essere soddisfatti o meno di sé. Infatti, un individuo può ritenersi inefficace in una specifica attività senza per questo avere una perdita di autostima. Per riuscire bene in qualcosa non basta l’autostima. Il fatto di piacersi non è per forza causa di buone prestazioni: queste sono difatti il risultato di impegno e disciplina. Per mantenere l’impegno necessario al raggiungimento dell’obiettivo ci vuole un solido senso di autoefficacia. In una determinata attività, il senso di efficacia personale consente di prevedere gli obiettivi e la qualità della prestazione. L’autostima su queste variabili non ha alcun effetto.
Persone con un’autoefficacia fragile spesso evitano di mettersi in gioco, per paura di conseguire un insuccesso. Questo schema di pensiero non è altro che una trappola. L’autoefficacia, difatti, si alimenta proprio tramite le esperienze, nel momento in cui entriamo in campo e sperimentiamo situazioni nuove. Per le persone che hanno una bassa autostima, invece, la trappola è l’ansia dovuta al confronto con gli altri. Una comparazione in base alla quale valutiamo criticamente noi stessi. Temiamo il giudizio di chi ci ama, delle persone con cui lavoriamo… Abbiamo paura che le nostre mancanze siano evidenti ai loro occhi. Giudicare sé stessi in base a questi criteri fomenta l’ansia oltre che la preoccupazione per ciò che gli altri pensano di noi.
Non esiste una via a senso unico per migliorare autostima e autoefficacia. Ciò che conta è evitare di cadere in un loop che porta ad essere bloccati da paure, demotivazione, mancanza di entusiasmo e… Infatti, tanto per l’autostima quanto per l’autoefficacia il pericolo è proprio quello di restare incastrati in un circolo vizioso caratterizzato da stasi negativa e insofferenza.
Per quanto concerne l’autostima essa viene alimentata ogniqualvolta otteniamo dei successi, raggiungiamo obiettivi e mete. Ovvio che una serie di insuccessi porta ad una demoralizzazione che fa perdere fiducia in sé stessi. È umano vivere dei momenti di demotivazione e frustrazione, gli eventi avversi della vita a volte prendono il sopravvento. Vivere momenti con basso tono dell’umore non solo capita ma vanno contemplati, del resto sarebbe strano essere sempre sulla cresca dell’onda.
Cosa fare allora quando viviamo momenti d’incertezza in cui dubitiamo di noi stessi e delle nostre capacità? Ciò che conta davvero è non abbattersi, ma soprattutto “fare”. Fermarsi non porta a nulla se non a far sentirsi inefficaci e a far diventare sempre più complicato da affrontare ciò che è evitato. Ciò che conta è procedere passo passo guardando in avanti.
Anche quando le cose non vanno come vorremmo. Anche dopo sconfitte e delusioni. Fondamentale è iniziare a riconoscere i fallimenti e le sconfitte come momenti in cui si può apprendere. Esperienze in seguito alle quali migliorarsi progressivamente. Questa modalità di pensiero permette di non stagnare in loop disfunzionali.
Ogni persona è un’unità originale e non replicabile, perciò non esiste una ricetta universale. Possiamo tuttavia selezionare una serie di buone norme seguendo i dettami della Terapia Breve Strategica.
Amare e rispettare sé stessi è un ottimo punto di partenza per migliorarsi. L’amore è qualcosa che abbiamo nel nostro mondo interiore, perciò non dobbiamo ricercarlo all’esterno, non lo si trova nel consenso degli altri. È una dimensione al nostro interno che viene attivata, in primis, da noi stessi e in un secondo momento dalle persone che incontriamo. È importante ricordare che l’autostima non può aspettare il domani. Molte persone rimandano a domani, nella speranza che arrivi il successo, il compagno di vita, i soldi, e tanto altro. Ma l’attesa spesso rende prigionieri di noi stessi oltre che incapaci. Non rimandare a domani è uno dei pilastri chiave per amare sé stessi, incrementare autostima e formare un buon senso di autoefficacia.
Albert Bandura (2001). Autoefficacia. Teoria e applicazioni. Edizioni: Erickson.
Nathaniel Branden (2006). I sei pilastri dell’autostima. Milano: Editore Tea.
Giorgio Nardone (2009). Problem solving strategico da tasca. Milano. Edizioni: Adriano Salani.
Pope A., McHale S., Craighead E. (2001) Migliorare l’autostima. Un approccio psicopedagogico per bambini e adolescenti. Edizioni: Erickson
Giorgio Nardone (1998) Psicosoluzioni. Milano: Edizioni Bur
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