“È più facile l’astinenza della moderazione”
Sant’Agostino
Chi non ha mai sentito parlare di anoressia?
L’anoressia nell’ambito dei disturbi alimentari è una forma di disagio molto conosciuta e diffusa che fa paura a causa dei suoi effetti spesso nefasti. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) rappresenta la seconda causa di morte in età giovanile, dopo gli incidenti stradali.
Ciò che più sorprende è che, contrariamente a quello che suggerirebbe il buon senso, sono proprio coloro che ne sono vittime a non temere questa pericolosa malattia. Arrivando al punto tale da esserne sedotti e a viverla molto spesso come una virtù invece che un disturbo.
L’anoressia mentale è una patologia che si sviluppa piano piano, essa diventa tale attraverso un lento processo di restrizione alimentare sia delle quantità che delle qualità dei cibi.
Tale patologia, soprattutto all’inizio, è mascherata da una scelta di tipo salutista o vegetariana che poi diventando rigida porta ad un dimagrimento. Dimagrimento, che superando una certa soglia, incastra la persona fino al punto tale che questa non riesce più a smettere di controllare l’alimentazione. Il limite viene superato proprio quando restringendo sempre più si arriva alla completa astinenza.
In questa tipologia di disturbo alimentare non è presente la compulsione dell’esercizio fisico, infatti, ciò che appare come ideale da raggiungere è il corpo filiforme. L’ossessione è quella della magrezza associata alla costante paura di essere grasse o grosse. Con il passare del tempo il proprio valore viene sempre più relegato a ciò che lo specchio e la bilancia rimandano. Nella maggioranza dei casi, inoltre, il corpo viene vissuto con profonda vergogna e con la preoccupazione di quello che gli altri possono pensare del loro aspetto.
Critiche verso se stesse le anoressiche indossano delle lenti deformanti che le portano sistematicamente a sopravvalutare gli altri e a sottovalutare se stesse. Con il risultato di finire per sentirsi inadeguate non solo a livello personale, ma anche sociale. Questo è il motivo per cui nelle relazioni interpersonali è osservabile un progressivo ritiro sociale. È così che evitano di correre il rischio di vivere situazioni conviviali in cui potrebbe avvenire la perdita di controllo sulla restrizione alimentare.
Di fronte a tutto ciò la progressiva distorsione dell’immagine corporea dell’anoressica manda letteralmente in tilt i genitori e non solo. Infatti ciò che risulta incomprensibile è l’idea del “più dimagriscono e più si vedono grasse o grosse”. Le lenti che indossano ingigantiscono sempre più come si vedono e per questo aumentano la restrizione alimentare e non solo. Ogni forma di piacere, che coinvolge qualsiasi ambito di vita, viene vista come pericolosa perché possibile motivo di perdita di controllo.
Di conseguenza la persona arriva ad indossare un’armatura che all’inizio protegge dai piaceri perturbanti, ma poi finisce per trasformarsi in una prigione. Prigione dalla quale sarà difficile evadere da sola.
È come se la principessa si rinchiudesse nella sua fortezza inespugnabile, ma ogni fortezza se troppo rigida si trasforma da ciò che protegge a ciò che imprigiona.
Altro aspetto importante sono le modalità attuate dalla famiglia per cambiare la situazione. La tentata soluzione che risulta più frequente e che alimenta il tutto è data dall’esortazione a mangiare, ciò, infatti, finisce per generale in modo paradossale una reazione di maggiore rifiuto del cibo.
Questa variante di disturbo alimentare, oltre alla restrizione del cibo, è caratterizzata dalla compulsione al movimento con lo scopo di bruciare calorie e in breve tempo far scendere l’ago della bilancia.
Talvolta le pazienti anoressiche di questo tipo accettano senza eccessive resistenze l’incremento di cibo ma non la riduzione dell’attività fisica. Spesso non stanno mai ferme e sfruttano ogni occasione per muoversi e bruciare calorie: salgono e scendono scale, vagano camminando per ore senza sosta, ripetono centinaia di volte esercizi faticosi, in particolare quelli per ridurre la pancia percepita. Inoltre, sono frequenti le lesioni da eccesso, come tendiniti, gonalgie, talloniti, lesioni muscolari, che tuttavia non frenano le anoressiche.
Il quadro è quello di un’ossessione compulsiva invalidante che finisce nella sua estremizzazione per non permettere di fare altro se non lottare attraverso il movimento con la paura di ingrassare.
Oltre due terzi delle anoressiche non riesce a mantenere la restrizione alimentare che si autoimpone e così finisce per cedere alla tentazione di mangiare e, spesso, si lascia travolgere dal desiderio dei cibi che si sono maggiormente vietate.
L’anoressia è così contagiata dal binge eating, ovvero un disturbo connotato da periodi di controllo maniacale del cibo seguito da periodi di abbuffate. Nella costante alternanza tra restrizione e perdita di controllo è evidente che la sintomatologia dominante rimane la restrizione anche se non è più ben riuscita.
Questa tipologia rappresenta la più frequente evoluzione dell’anoressia e rischia di trasformarsi in un disturbo ancora più complesso, invalidante e rischioso. Il vomito autoindotto, infatti, porta ad uno scompenso elettrolitico che è la causa di mortalità più frequente nei disordini alimentari.
Si osservano due stadi distinti del disturbo: all’inizio il vomito viene attuato come modalità compensatoria all’aver mangiato troppo; in seguito, la persona arriva ad abbuffarsi per vomitare. È a questo punto che il vomito diventa la parte finale del rito piacevole. Dunque, il vomito, da “buona soluzione” per non ingrassare mangiando o per continuare a dimagrire alimentandosi si trasforma in una compulsione irrefrenabile che è sì soddisfacente e piacevole, ma imprigiona in quanto imprescindibile.
Spesso associata al vomiting è la variante connotata dal comportamento autolesivo. Nessuna di queste forme tende all’autodistruttività o a intenzioni suicidarie, lo scopo è sedativo rispetto agli stati emotivi negativi (tensione, noia, ansia, dolore) o rappresentano la ricerca di un sottile piacere.
È importante sottolineare che il comportamento autolesivo senza intenzione suicidaria in oltre il 70% dei casi è associato al disordine alimentare anoressico, tanto da farlo ritenere un comune sintomo delle forme più severe di tale patologia.
Tra i comportamenti patologici connessi all’anoressia quelli caratterizzati dall’uso di lassativi, enteroclismi e di altre pratiche per facilitare l’evacuazione intestinale, così come il ricorso ai diuretici sono i più noti. Rispetto ai decenni passati, tale pratica attualmente è diminuita, forse perché se ne conoscono gli effetti collaterali. Mentre è più diffuso il ricorso agli enteroclismi a base di acqua o sostanze come la camomilla o simili per la convinzione che aiuti a depurare l’intestino. A ciò si si associano uno stile alimentare esotico o varie diete di derivazione orientale. Spesso questi comportamenti rappresentano l’anticamera del disturbo alimentare restrittivo o della sua variante ortoressica, vale a dire la fissazione per i cibi considerati sani e l’evitamento fobico di quelli ritenuti non sani. Il più delle volte questo quadro evolve in anoressia mentale.
Piuttosto che di una variante possiamo parlare di una forma di comportamento patologico pericoloso che si aggiunge al disturbo alimentare restrittivo, a quello con vomiting e a quello multisintomatico.
Negli ultimi decenni si è osservato un netto incremento dell’ausilio chimico in chi sente di non riuscire con la restrizione, il vomito e l’excercising a mantenere la forma fisica desiderata. E così per non sentire la fame si ricorre all’uso di sostanze chimiche come lo sciroppo di ipecac (contiene emetina, una sostanza cardiotossica che può indurre morte improvvisa) per indurre il vomito, droghe come amfetamine e derivati, farmaci o preparati anoressizzanti.
Si tratta di pazienti che hanno manifestato tutti i diversi comportamenti patologici connessi al cibo, alternandoli nel tempo, come una sorta di sperimentazione alla ricerca del metodo migliore per non ingrassare o per dimagrire.
Oltre alle condotte alimentari disfunzionali, presentano un quadro clinico caratterizzato disturbo di personalità borderline. Nello specifico è riscontrabile un’elevata instabilità emotiva e affettiva, della propria immagine e delle relazioni interpersonali, difficoltà a controllare la rabbia e gli impulsi e sentimenti cronici di vuoto e noia. In questa situazione sono rilevabili grandi difficoltà a stabilire degli obiettivi e a mantenerli.
Diversi studiosi sottolineano come la restrizione alimentare e le condotte disfunzionali legate al cibo possano alterare il funzionamento della personalità. A dimostrazione di ciò, si può vedere che tali pazienti, una volta guarite dal disturbo alimentare, non presentano più le caratteristiche del disturbo borderline.
La terapia breve strategica si pone come obbiettivo quello di condurre la persona ad abbandonare l’armatura che nel tempo si è costruita. Senza mai dimenticare che l’armatura se da una parte imprigiona, dall’altra, in alcuni momenti, fa sentire protetti, ma soprattutto capaci. Necessario è quindi entrare e direzionare dolcemente la percezione alterata così, poi, da costruire un sano rapporto con il cibo e con le sensazioni provate.
Nardone, G., Valteroni, E. L’anoressia giovanile. Una terapia efficace ed efficiente per i disturbi alimentari. Edizioni Ponte alle Grazie (2017).
Nardone, G. Al di là dell’amore e dell’odio per il cibo. Biblioteca Univ. Rizzoli (2013).
Petruccelli, F., Verrastro, V. La relazione d’aiuto nella psicoterapia strategica. Franco Angeli (2012).
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