Il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività, in inglese Attention Deficit Hyperactivity Disorder (ADHD), è un disturbo evolutivo dell’autocontrollo che implica difficoltà di controllo di attenzione, impulsività e iperattività. Questi problemi derivano essenzialmente dall’inabilità del soggetto di adeguare il proprio comportamento in funzione dello scorrere del tempo, degli obiettivi e delle richieste del contesto ambientale.
La più recente classificazione del Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività è contenuta nel DSM-5. Secondo questo per poter porre diagnosi di ADHD, un bambino deve presentare almeno 6 sintomi per un minimo di sei mesi e in almeno due contesti. Inoltre, è necessario che tali manifestazioni siano presenti prima dei 7 anni di età e soprattutto che compromettano il rendimento scolastico e/o sociale. Oltre i 17 anni, a scopo diagnostico, è sufficiente la rilevazione di 5 sintomi.
I sintomi sono suddivisi nelle due categorie di iperattività e disattenzione come segue:
Se un soggetto presenta esclusivamente 6 dei 9 sintomi di disattenzione, viene fatta diagnosi di ADHD-sottotipo disattento; se presenta unicamente 6 dei 9 sintomi di iperattività/impulsività, allora viene fatta diagnosi di ADHD-sottotipo iperattivo/impulsivo; infine se il soggetto presenta entrambe le problematiche, allora si fa diagnosi di ADHD-sottotipo combinato.
I differenti sottotipi di ADHD sono definiti, come abbiamo visto, da peculiarità diverse. Il sottotipo disattento appare più riservato, più passivo, più ansioso e più disorganizzato rispetto al sottotipo iperattivo, con l’inclinazione ad avere un basso tono dell’umore. Inoltre, i soggetti che presentano tale profilo vengono rappresentati come dei “sognatori” o comunque come persone con “la testa tra le nuvole”. Il sottotipo iperattivo/impulsivo e il sottotipo combinato appaiono caratterizzati da una maggiore impulsività, da problemi di autocontrollo e da difficoltà nelle relazioni con i pari. L’elemento più rilevante è, tuttavia, l’eventuale presenza di aggressività, che incrementa la probabilità, rispetto all’altro sottotipo, di ricevere una seconda diagnosi di disturbo oppositivo-provocatorio o disturbo della condotta.
Qualsiasi bambino esprime il desidero di cimentarsi in nuove attività con curiosità e voglia di fare. Ci sono dei casi però in cui il desiderio incessante di giocare, di agire e di essere in costante movimento non deriva da attribuzioni caratteriali, ma da un disturbo dell’età evolutiva, ovvero l’ADHD.
Negli ultimi anni, tanto in Italia quanto all’estero, il termine iperattivo è stato molto inflazionato. La diagnosi precoce e la prevenzione sono fondamentali e vengono accolte caldamente dai professionisti delle strutture che si occupano della valutazione di tale disturbo. È necessario, nonostante tutto, cercare di non porre etichette affrettate, ma tenere ben presente che sussistono dei criteri discriminanti tra una sana vivacità e una iperattività patologica. Il rischio nell’essere troppo frettolosi a fare una diagnosi di questo tipo è quello di incorrere in “falsi positivi” che determinano in seguito importanti conseguenze per la vita dei soggetti.
In una sana vivacità il bambino è in cerca di nuove esperienze, gioca, ed ovviamente è spesso in movimento. I giochi e le attività che compie seguono uno schema, un obiettivo e sono caratterizzati da un filo logico e da tempi attentivi normali. In una vivacità non sana, i segnali che dovrebbero far “insospettire” genitori e insegnanti comprendono l’osservazione di momenti ludici privi di un apparente scopo sottostante, nonché la constatazione che il normale funzionamento del bambino all’interno del contesto scolastico e famigliare è compromesso e fonte di disagio per lo stesso. Infatti, il bambino con ADHD soffre per l’incapacità di gestire il suo irrefrenabile desiderio di movimento e/o per la sua inabilità di mantenere un focus attentivo per periodi normali, come i suoi coetanei.
Da sottolineare, comunque, che la vivacità intesa come brio, curiosità, desiderio di esplorazione, è da considerarsi una pulsione sana e utile per il corretto sviluppo dell’individuo. È, in sintesi, un’importante qualità da proteggere, un dono, che a volte dev’essere “limitato” per adattarsi alle situazioni sociali, ma che rappresenta un’energia positiva che non deve assolutamente essere estinta.
I bambini con deficit di Attenzione e Iperattività, come precedentemente detto, soffrono per le difficoltà che comporta tale disturbo. A volte sono ingiustamente etichettati come studenti disturbatori che non hanno voglia di impegnarsi e che creano scompiglio all’interno della classe causando non poche difficoltà ai docenti. Inoltre, i bambini con ADHD hanno un rischio maggiore di comorbilità con un DSA. La frequenza dei disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) nei bambini con ADHD varia tra il 15% al 44% per la lettura e tra il 31% e il 60% per la matematica. Quando sussiste la presenza di entrambi i disturbi (ADHD e DSA), purtroppo i fallimenti a livello scolastico sono quasi un fattore ordinario. Tutto ciò si amplifica in particolare nei casi in cui non c’è una solida rete di supporto attorno al soggetto.
Le conseguenze dell’ADHD si esprimono tramite i sintomi secondari: bassa autostima, difficoltà relazionali e difficoltà scolastiche.
La bassa autostima comporta spesso demoralizzazione, solitudine, scarsa fiducia in sé stessi, rischio di incorrere in un disturbo depressivo, ansioso e comportamentale. Si possono esperire sentimenti di inadeguatezza dovuti ai continui rimproveri da parte delle figure adulte e rifiuto sociale a più livelli.
Le difficoltà relazionali comprendono l’incapacità di cogliere indici sociali non verbali con conseguente rischio di emarginazione da parti del gruppo dei pari. E non solo, vi può essere una difficoltà nel mantenere relazioni amicali durature, nonché tendenza all’isolamento e propensione a creare rapporti con bambini più piccoli o instabili.
Le difficoltà scolastiche implicano una carriera scolastica problematica, che si traduce in un’elevata percentuale di alunni che necessitano di un’insegnante di sostegno, molte bocciature (30%) e l’abbandono della scuola superiore prima della sua fine (10-35%).
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